domenica 27 gennaio 2008

VERGOGNAMOCI

L'ultima storia politica mi fa solo pensare che dobbiamo VERGOGNARCI TUTTI QUANTI, nessuno escluso. L'illegalismo ormai è di massa, lecito e riguarda ed è causato da tutti noi. Smettiamola di trovare in questa classe politica qualcuno che ci rappresenti. Fate uno sforzo e guardatevi questo video, capisco che 2h 24' 39" sono molto nella vostra vita ma magari una sera prendetevela libera e guardatelo. Smettiamo di subire tutto senza fare niente. REAGIAMO TUTTI INSIEME !!! Troviamo la soluzione a questa dilagante illegalità, Informiamoci il più possibile acquisendo informazione non solo dai "canali mediatici classici"; cerchiamo di non pensare più solo a noi stessi; sforziamoci di vedere la realta. Facciamo una cosa tutti insieme. Non chiedo di avere tutti lo stesso colore politico ma cerchiamo di diventare tutti più onesti e di pretendere l'onesta da chi ci rappresenta. Mandiamo a casa chi ci delude e ci deruba della nostra tranquillità.

giovedì 24 gennaio 2008

La casa che sorride all'ambiente


Per chi volesse migliorare la propria casa con piccoli interventi di ristrutturazione ecco un prontuario scaricabile dal sito della decrescita felice al seguente link.

TRATTO DAL PRONTUARIO:
"Questo prontuario si rivolge a coloro che hanno intenzione di costruire, ristrutturare o arredare un'abitazione, tenendo particolarmente presenti il risparmio energetico e la tutela della salute dell’uomo e dell'ambiente.
L’edificio di cui si parla nel manuale era una banale casa monofamiliare a due piani degli anni Sessanta, costruita da un lato nel disprezzo della tradizione locale (scala esterna, finestre quadrate, tapparelle, pavimenti in marmo) e dall’altro nella totale ignoranza dei principi relativi al risparmio energetico (muri in cemento, nessuna forma di isolamento, spreco di acqua piovana). La casa, che ha subito una ristrutturazione drastica con un ampliamento riservato ai servizi (garage, cantina e deposito attrezzi), è stata dotata di un ampio portico a sud. Come insegna la tradizione contadina italiana, questa disposizione consente di godere del tiepido sole invernale e di evitare la calura estiva nei mesi in cui il sole è più alto."

giovedì 17 gennaio 2008

Termovalorizzatore = Inceneritore


Notizia del 17-01-2008 tratta dal sito fareverde.it

È perlomeno strano che quando si promuovono nuovi impianti per bruciare i rifiuti vengono chiamati "termovalorizzatori", quando invece si chiudono per disastro ambientale vengono chiamati "inceneritori".

È quanto accaduto negli ultimi due giorni con il caso di Terni: i mezzi di informazione hanno parlato dell'inceneritore di Terni, giustamente chiuso a causa del grave inquinamento prodotto.
Eppure si trattava di un impianto che bruciava i rifiuti ricavandone energia. Perchè non lo si dovrebbe chiamare anche in questo caso "termovalorizzatore"? Se dovesse accadere qualcosa all'osannato "termovalorizzatore" di Brescia, cambieranno nome anche a quell'impianto?

L'apparente stranezza non stupisca: grazie all'emergenza programmata in Campania è in atto una grande campagna a reti unificate pro "termovalorizzatori". Proprio mentre scriviamo va in onda su Rai 3 l'ennesimo spot (rubrica TG3 leonardo).

Si sveglino, dunque, le coscienze, e comprendano finalmente che non c'è differenza tra "termovalorizzatori" e "inceneritori": sono lo stesso modo di distruggere risorse preziose, sprecare energia e produrre ceneri tossiche da smaltire in discariche speciali!

mercoledì 9 gennaio 2008

Grazie "Cino"


Grazie veramente,
probabilmente non per attenzione all'ambiente, ma per necessità, ma i cinesi sembra che bandiranno dal mercato le buste di plastica troppo sottili e quelle più spesse saranno fatte pagare per scoraggiarne l'uso.
Anche se forse non con coscienza, una bella scelta.
NOI CHE ASPETTIAMO !!!

Preoccupata dalla mole dei rifiuti e dai costi energetici, Pechino ha deciso lo stop
I sacchetti più sottili vietati da giugno, quelli spessi dovranno essere pagati

"Riprendete i cesti per le verdure"
Al bando in Cina le buste di plastica

Ogni giorno nella Repubblica popolare ne vengono utilizzate circa tre miliardi
Divieto previsto anche in Italia dal 2010, ma nessuno si sta muovendo
di VALERIO GUALERZI

ROMA - Il mosaico dei provvedimenti presi dalla Cina nella rincorsa a uno sviluppo più rispettoso dell'ambiente si arricchisce di un'altra tessera. Dopo i severi limiti alle emissioni delle automobili (la legge del 2004 fissa regole più dure che negli Usa) e il boom delle fonti rinnovabili, le autorità di Pechino hanno annunciato la messa al bando della produzione di sacchetti di plastica. Il divieto, che scatterà dal prossimo primo giugno, riguarda le buste realizzate con materiale sottile (sotto i 0,025 millimetri di spessore), mentre quelle più spesse e resistenti potranno continuare a essere usate. I negozianti saranno obbligati però a farle pagare ai consumatori, indicandone chiaramente il prezzo alla cassa, dissuadendoli quindi da un uso indiscriminato.

Secondo alcune stime, in Cina ogni giorno vengono utilizzati circa tre miliardi di sacchetti. Una quantità immensa, che crea al Paese due diversi ordini di problemi. Il primo è naturalmente quello dello smaltimento di questa enorme quantità di plastica che spesso nel giro di poche ore si trasforma in spazzatura. Il secondo è legato alla necessità di ridurre le importazioni petrolifere. Per produrre il suo fabbisogno di buste, la Cina deve raffinare ogni anno 5 milioni di tonnellate di greggio (37 milioni di barili). Difficile quindi pensare a una semplice coincidenza tra il varo in fretta e furia della nuova legge e il crescere delle preoccupazioni per l'impennata del costo del petrolio, con lo sfondamento della soglia psicologica dei 100 dollari al barile.

"Il nostro Paese consuma enormi quantità di buste di plastica ogni anno. Se da un lato rappresentano una comodità, dall'altro hanno provocato un grave inquinamento e uno spreco di risorse ed energia, per via del loro uso eccessivo e del mancato riciclaggio. Dobbiamo incoraggiare le persone a ritornare all'uso delle buste di stoffa e dei cesti per le verdure", si legge nella nota del governo sul suo sito web.

La decisione di Pechino allunga la lista dei Paesi che hanno deciso di dichiarare guerra ai sacchetti non biodegradabili. La messa al bando parziale o totale delle buste sintetiche è stata già avviata, con diverse date per lo stop definitivo, in Francia, in Uganda, in Australia, in diverse città degli Stati Uniti e in Bangladesh, dove il provvedimento è stato varato nel 2002 quando si è scoperta la responsabilità dei sacchetti di plastica nell'intasare il sistema di deflusso delle acque, aggravando drammaticamente i danni delle frequenti alluvioni. Del problema sta discutendo anche la municipalità di Londra, mentre l'Irlanda ha preferito cercare di centrare l'obiettivo della loro riduzione con una supertassazione.

La piaga del dilagare dei sacchetti è stata affrontata anche in Italia, ma con le solite ambiguità e contraddizioni. La passata legge finanziaria ne fissava la messa al bando per il 2010, motivando la scelta sia con la necessità di ridurre la produzione di rifiuti, sia come forma di incentivazione all'industria nazionale dell'agri-tech attraverso la produzione di surrogati di origine vegetale. "Ma nell'anno appena trascorso non è stato fatto neppure un passo per rendere operativa questa scelta", denuncia il coordinatore dell'ufficio scientifico di Legambiente Stefano Ciafani. "Il 2010 - aggiunge - è praticamente dopodomani mattina, ma né il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio né quello dello Sviluppo Economico Bersani hanno dato disposizioni per organizzare la necessaria filiera agricola e industriale".

(9 gennaio 2008)
dal sito "la repubblica.it"

venerdì 4 gennaio 2008

IKEA


Già da molto tempo sono contrario ai prodotti IKEA per la loro pessima qualità. Dopo aver letto questo libro e aver preso coscienza della pessima politica che il gruppo attua nei confronti dei suoi lavoratori diretti e non, farò tutto il possibile per diffondere la mia idea. SFIDO CHIUNQUE A LEGGERE QUESTO LIBRO E POI METTERE PIEDE DI NUOVO IN UNO DEI LORO PUNTI VENDITA SENZA AVER UN MINIMO RIMORSO DI COSCIENZA.

IL LIBRO:
«Ikea in India: un lavoro da smontare. Dopo aver installato negozi in Russia e in Cina, mercati promettenti, il gigante svedese Ikea ha comunicato, in ottobre, che non intende aprirne in India "per via della legislazione eccessivamente vincolante per le imprese straniere". Il gruppo si accontenta di fabbricarvi i prodotti, senza vincoli, soprattutto sindacali, pagando ogni lavoratore 1,60 euro al giorno...»

E' uscito il 24 settembre il libro al centro di una grande campagna internazionale di un'importante ONG europea sulle condizioni del lavoro negli stabilimenti IKEA di tutto il mondo.

IKEA è oggi uno dei brand mondiali più conosciuti e amati, specialmente dai giovani - è stato calcolato che un bambino su dieci in Europa viene concepito in un letto IKEA. Con la sua immagine pulita, i prezzi bassissimi, i mobili carini, IKEA in apparenza è una azienda modello, attenta all'impatto ambientale delle proprie lavorazioni e rispettosa dei diritti dei lavoratori.

IKEA è socialmente responsabile.
IKEA è impegnata nella difesa dell'ambiente.
IKEA è al servizio del maggior numero possibile di persone.
IKEA vuole migliorare il nostro quotidiano.
IKEA ci ama.

Così vuole apparire agli occhi del grande pubblico la multinazionale del prêt-à-habiter. Ma la sua immagine di azienda etica è frutto di pratiche effettivamente responsabili o solo di un'ottima strategia di comunicazione?

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le denunce di sfruttamento del lavoro minorile nei Paese sottosviluppati, le denunce dei sindacati circa il mancato rispetto degli orari di lavoro contrattuali, quelle dei fornitori costretti a lavorare a condizioni inique, l'impiego di materiali pericolosi per la salute come la formaldeide o per l'ambiente come il PVC negli imballaggi...
L'ONG belga Oxfam-Magasins du monde ha voluto saperne di più e ha avviato un'inchiesta per far luce sulle modalità di lavorazione dei prodotti IKEA, sul sistema di approvvigionamento del legname e sull'applicazione delle norme di rispetto ambientale, sulle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti diretti e di quelli dei suoi subappaltatori.

La conclusione è che gli impegni assunti da IKEA, per quanto lodevoli e concreti, sono insufficienti a garantire soluzioni accettabili per la salvaguardia dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori.
Tanto più che, nell'ottica di un riserbo portato all'estremo, i suoi bilanci e i controlli effettuati in base al codice di condotta interno all'azienda (IWAY) non sono accessibili al pubblico.

L'IKEA è dunque il soggetto ideale per una seria inchiesta giornalistica condotta senza pregiudizi ideologici alla ricerca di una verità scomoda. Questo libro però non parla soltanto di IKEA, ma anche (soprattutto?) di noi.

Il modello di sviluppo che, direttamente o indirettamente, è incoraggiato dalle pratiche del gruppo - acquistare sempre più cose, a un prezzo sempre più basso, da conservare per un tempo sempre più breve - è incoerente con un discorso sociale ed ecologico credibile. Per questo la responsabilità di accettare o rifiutare un modello di sovraproduzione e sovraconsumo ricade su noi acquirenti: scegliamo di consumare meno e meglio, in modo più equo, ribellandoci alla dolce influenza delle multinazionali.

L'agile volume di Bailly, Lambert e Caudron è una lettura sorprendente, una serrata inchiesta giornalistica sull'universo IKEA, condotta sul filo di preziose - e anonime - testimonianze di lavoratori e fornitori che compongono la galassia IKEA in tutto il mondo, dal Vietnam alla Bulgaria, dall'India al Belgio. Dati alla mano, ne risulta un quadro inquietante, certo molto diverso dall'immagine accattivante che la multinazionale svedese ha in tutto il mondo.

Gli autori
Olivier Bailly è un giornalista free-lance e nella sua casa trova posto un tavolo IKEA.
Denis Lambert è il Segretario generale della ONG belga Oxfam-Magasins du monde. A casa sua ha una sedia IKEA.
Jean-Marc Caudron è ricercatore presso la Oxfam-Magasins du monde. Nel suo appartamento si trovano ben due vasi IKEA.

«Attualmente IKEA mantiene il massimo riserbo sulla lista dei suoi fornitori e dei paesi d'origine del suo legname. IKEA non rivela i propri conti. IKEA nasconde la propria struttura giuridica. Più che informarci, IKEA ci dà in pasto storie che non stanno né in cielo né in terra, delle saghe farcite di aneddoti su un sedicente miliardario spilorcio.»

«Come IKEA ripete, la sua missione è rendervi più felici e per riuscirci dovete acquistare sempre di più. I depressi del mondo industrializzato devono ancora chiedersi come mai non sono riusciti a essere felici in mezzo a tante ricchezze materiali»

Scie di condensazione ?


"Da oltre dieci anni, i nostri cieli sono caratterizzati da lunghe scie bianche. Sono le scie degli aerei, ovviamente: lo sanno anche i bambini! E' risaputo, infatti, che gli aerei rilasciano al loro passaggio delle scie bianche: si chiamano "scie di condensazione", "contrails" in inglese."... continua
tratto da sciechimiche.org